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STORIA

L’idea di far vibrare le corde di uno strumento attraverso l’attrito di un filo teso ha origini assai lontane ed è arrivata in Europa attraverso i contatti con la cultura islamica.

 

Nell’ambito della musica popolare la lira calabrese (da non confondersi con l’omonimo cordofono in uso nella Grecia classica) ha mantenuto fino ai nostri giorni traccia di questa influenza.

L’evoluzione degli strumenti ad arco ha visto mutare anche l’archetto; dalla forma arcaica semicircolare – che ricorda appunto l’utensile da caccia da cui prende il nome – si è passati all’odierna struttura rettilinea.

Inizialmente il violino, alla sua prima comparsa nel tardo Rinascimento, conviveva con diversi altri strumenti ad arco, in seguito caduti in disuso. In breve tempo però esso divenne ‘il re’ degli strumenti musicali: non solo era perfetto per accompagnare la danza, ma le sue spiccate qualità espressive ne avvicinavano il suono a quello della voce umana.

Gli archi

A partire dal Seicento le tecniche di realizzazione si raffinarono notevolmente e alcuni liutai – costruttori di strumenti a corda – rimasero nella storia per la perfezione dei loro strumenti: tra questi il più celebre è il cremonese Antonio Stradivari, seguito dagli Amoth (16°-18° secolo) e dai componenti della famiglia Guarneri (17°-18° secolo).

Come in altre famiglie di strumenti anche negli archi abbiamo diversi tipi, le cui dimensioni sono strettamente legate all’altezza delle note eseguibili: il violino è lo strumento più piccolo e dal suono più acuto, dopodiché, scendendo verso il grave, troviamo la viola, il violoncello e il contrabbasso. Con il variare delle dimensioni cambia però anche la modalità esecutiva. Nei primi due casi il musicista tiene lo strumento in posizione orizzontale, appoggiato sulla spalla sinistra, mentre i più ingombranti violoncello e contrabbasso vengono suonati verticalmente e poggiati a terra.

A partire dal Seicento la presenza degli archi caratterizzò sempre di più il suono dell’orchestra, mentre i compositori del Settecento videro nel quartetto d’archi – due violini, viola e violoncello – la più perfetta espressione dell’equilibrio musicale.

Le potenzialità espressive e solistiche del violino tornarono in primo piano nel Romanticismo, quando alcuni grandi violinisti, come il genovese Niccolò Paganini, raggiunsero grazie al loro virtuosismo un’abilità esecutiva prima impensabile.